Polizia locale: è pubblico ufficiale anche fuori servizio?

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Polizia locale: è pubblico ufficiale anche fuori servizio?

Con sentenza n. 13264 della VI sezione penale, la Cassazione si è pronunciata sulla qualifica di pubblico ufficiale di un appartenente alla polizia locale, con specifico riferimento a quando il soggetto sia fuori servizio. Nello specifico, una cittadina era stata condannata per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale nei confronti di un sovrintendente capo della polizia municipale, intervenuto in abiti civili e fuori dal servizio per sventare una truffa ai danni di un automobilista (la cosiddetta “truffa dello specchietto retrovisore).

Nel ricorso, proposto dall’avvocato difensore della cittadina, si sosteneva che il soggetto intervenuto non rivestisse la qualifica di pubblico ufficiale perché al momento dell’intervento era “libera dal servizio e in abiti civili”.

I giudici hanno respinto il ricorso, con la seguente motivazione: “l’agente d polizia municipale, nei cui confronti è stata esercitata la condotta di resistenza da parte del ricorrente, era intervenuto sul posto perché si trovava al Comando quando era giunta la segnalazione della presenza di un’auto con la quale si stavano perpetrando truffe nel centro di Vico Equense facendo falsamente credere, ad ignari automobilisti, di avere danneggiato lo specchietto retrovisore ottenendo un immediato risarcimento non dovuto. La Corte di appello, al fine di accertare la qualifica da attribuire alla persona offesa, ha applicato il condiviso principio di diritto secondo il quale gli appartenenti alla Polizia municipale sono agenti di polizia giudiziaria in forza del combinato disposto dell’art. 5 (Funzioni di polizia giudiziaria, di polizia stradale, di pubblica sicurezza) della I. n. 65 del 7 marzo 1986 – Legge quadro sull’ordinamento della polizia municipale – e dell’art. 57, comma 2, lett. b) cod .proc.pen. purché, quando esercitano il loro potere di intervento, si trovino nell’«ambito territoriale dell’ente di appartenenza» durante il servizio e rispettino le attribuzioni loro riconosciute tra le quali l’accertamento dei reati (Sez. 3, n. 31930 del 7/06/2022; Sez. 6, n. 31231 del 25/09/2020, Loconte, Rv. 279886). Alla luce del menzionato impianto normativo, l’intervento operato da l’agente della Polizia municipale, Maurizio Crotti, va qualificato come «atto di uffici o o di servizio» in quanto: conseguente alla segnalazione, mentre si trovava all’interno del proprio Comando, di un delitto in atto, tanto da avere consentito l’accertamento di una truffa in flagranza rientrante nelle sue attribuzioni istituzionali di natura pubblicistica e nel territorio di competenza del suo ente. Dette circostanze di fatto, non contestate, rendono privo di rilievo il dato formalistico del mero superamento del turno di servizio, dovendo attribuirsi prevalenza a situazioni di potenziale pericolo per la sicurezza pubblica e di perseguimento dei reati allorché agenti di polizia giudiziaria ne vengano il diretta conoscenza, come accaduto nella specie. Dunque, come correttamente argomentato dalla sentenza impugnata, e ribadito dal Procuratore generale nella requisitoria scritta, la locuzione contenuta nell’art. 57, comma 2, lett. b) cod. proc. pen. «quando sono in servizio» va interpretata in chiave funzionale, cioè con riferimento al rapporto di impiego e non all’orario di lavoro. Ne consegue che la condotta illecita del ricorrente è stata commessa mentre l’agente della polizia municipale compiva un atto dell’ufficio di appartenenza tanto da configurare il delitto contestato di cui all’art. 337 cod. pen”.

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Fonte: armietiro
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