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Querele incrociate tra vicini: salta il porto d’armi!
Il rapporto tra possesso legittimo di armi e tutela giudiziaria dei propri diritti sembra essere di giorno in giorno più complesso e accidentato per i cittadini italiani. L’ultima tegola in ordine di tempo è quella arrivata dalla sezione Prima ter del Tar del Lazio, che con sentenza n. 11168 pubblicata il 9 giugno 2025 ha rigettato il ricorso di un cittadino che si era visto ritirare il porto di fucile per Tiro a volo e le armi legittimamente detenute a causa di una contro-querela per calunnia (368 cp) e atti persecutori (612 bis cp) presentata ai suoi danni dai vicini di casa, in risposta a una sua querela scaturita da comportamenti molesti nei confronti dell’appartamento nel quale era affittuario. Il provvedimento era stato disposto dall’autorità locale di pubblica sicurezza nonostante le armi non risultassero detenute nell’appartamento affittato, bensì in altro appartamento nel quale il cittadino aveva la residenza.
I giudici, nel respingere il ricorso, hanno motivato la decisione argomentando che “il provvedimento in epigrafe è stato adottato in ragione del timore espresso dall’Autorità di pubblica sicurezza preposta che i rapporti gravemente conflittuali con i vicini, sfociati in reciproche denunzie, potessero far sorgere nel signor Andreoli il proposito di risolvere la controversia con l’utilizzo delle armi da lui legittimamente detenute. Il Collegio reputa che tale valutazione non sia irragionevole, e che sia da ritenere senz’altro sufficiente a giustificare e mantenere la revoca del titolo di polizia per cui è causa. Nella vicenda all’esame non vi sono ragioni per discostarsi dal costante insegnamento della giurisprudenza amministrativa, che evidenzia come tale provvedimento possa essere sorretto anche da valutazioni della capacità di abuso fondate su considerazioni probabilistiche e su circostanze di fatto assistite da meri elementi di fumus, in quanto nella materia de qua l’espansione della sfera di libertà dell’individuo è, appunto, destinata a recedere di fronte al bene della sicurezza collettiva (per tutte, Consiglio di Stato, sez. VI, 20 luglio 2006, n. 4604). In sostanza, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa del ricorrente, a fondare il divieto per cui è causa non occorre l’accertamento di un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base di circostanze oggettive, che nella vicenda all’esame sono indubbiamente costituite dalla evidente conflittualità tra il ricorrente ed i vicini (Consiglio di Stato, sez. III, 1 aprile 201-OMISSIS-, n. 1731; id., sez. IV, -OMISSIS- luglio 2002, n. 4073; T.A.R. Umbria, 12 giugno 2014, n. 319). In altri termini, nella materia dell’uso e detenzione delle armi ogni elemento indiziario di pericolo giustifica l’esercizio del potere in questione, sicché l’Autorità di Pubblica Sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità d’abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell’interessato, purché l’apprezzamento, come nella vicenda all’esame, non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo, trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell’uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Consiglio di Stato, sez. III, 17 maggio 2018, n. 2974)”. I giudici hanno tuttavia anche osservato che “la circostanza che il ricorrente successivamente al gravato provvedimento abbia lasciato l’appartamento di via -OMISSIS- non può incidere sull’esito della presente controversia. Si tratta infatti di evento sopravvenuto all’adozione del provvedimento gravato, come tale insuscettibile di incidere sulla legittimità di esso, salvo giustificare un eventuale riesame della posizione dell’interessato”.
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Fonte: armietiro
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