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Il decreto sicurezza visto dal Siulp
Il Decreto Legge n. 48/25, convertito nella Legge 80/25 e noto come “Decreto Sicurezza”, rappresenta certamente un punto di partenza nel tentativo di applicare qualche cerotto a una situazione che, ormai, è diventata insostenibile tanto per i cittadini quanto per le forze dell’ordine. Gli uni e gli altri, infatti si trovano a subire (i primi) e dover gestire (i secondi) fenomeni sempre più eterogenei e minacce sempre nuove.
Chi si occupa di sicurezza pubblica, in particolare, negli ultimi anni si è sentito sempre più impossibilitato a svolgere appieno le proprie funzioni, soprattutto di tipo repressivo, perché esposto in prima persona a responsabilità ormai note a tutti, oltre che a sempre crescenti rischi per la propria incolumità.
Certo, intervenire continuamente in un modo che in diritto viene definito “a macchia di leopardo”, vale a dire portando modifiche sparse qua e là a testi e codici che, in qualche caso, fanno ormai acqua da tutte le parti, non equivale certamente a un riordino organico delle discipline su cui si interviene. In molti casi, infatti, si vive proprio la necessità di riscrivere da capo le linee guida di interi settori. Gli impianti normativi sono strutture assai delicate e intervenendo in maniera disarticolata qua e là con modifiche, aggiunte e abrogazioni parziali è spesso causa di incongruenze che, alla fine, soprattutto in ambito sicurezza proprio i cittadini e le forze dell’ordine si trovano a dover ricomporre, a valle delle decisioni adottate da altri.
Tutto questo in attesa che a legiferare torni il Parlamento. Dall’Europa all’Italia, infatti, si assiste ormai a un consolidamento di un’impropria funzione legislativa esercitata dagli organi di governo.
In ogni caso, un punto di partenza e un testo che, comunque, esprime e racchiude in sé la volontà di cominciare a dare segnali di un’inversione di tendenza nella gestione della sicurezza che sui marciapiedi è ormai sentita da anni.
Ne abbiamo parlato con Paolo Macchi, dirigente nazionale Siulp, il più rappresentativo sindacato di polizia in Italia.
Come è stato accolto il decreto sicurezza da chi, come lei, si occupa di individuare i bisogni del comparto polizia e di individuare gli strumenti per rendere l’operato dei colleghi sempre più efficace e sicuro?
“A questo Decreto va riconosciuto l’intento di aprirsi, seppur a mio avviso ancora molto timidamente, verso il riconoscimento di alcune delle problematicità in cui versano gli operatori delle forze dell’ordine in questo periodo storico. Non si può non notare che si tratta di un intervento fatto di misure sparse, senza una visione complessiva che invece era da prediligere in questa fase emergenziale laddove i cittadini che ogni giorno incontriamo manifestano paure e insicurezza ed a noi viene lasciata la gestione di fenomeni sempre più complessi, come l’immigrazione mal gestita, con strumenti normativi frammentati e datati che non aderiscono più all’attuale situazione a mio avviso sottovalutata da troppi anni.
Il bisogno è di un intervento organico strutturato e coraggioso, capace di ridare centralità alla prevenzione ma ancor più a una severa azione repressiva in nome di chiare norme e linee guida entro le quali Polizia e Carabinieri possano muoversi per un risultato concreto ma ampiamente tutelati.
Dico che l’apertura è ancora molto timida perché c’è ancora parecchio da fare, soprattutto in termini di tutela delle donne e degli uomini che ogni giorno rischiano la vita per mantenere la legalità, anche a costo di vedersi bloccata la carriera, in attesa che il loro operato venga vagliato e legittimato in lunghissimi processi devastanti sia economicamente che psicologicamente.
Per questo sarà senz’altro utile, se l’obiettivo realmente perseguito è la tutela delle forze dell’ordine, sederci al tavolo tutti insieme, in modo che la nostra voce, quella di coloro che tutti i giorni cercano di proteggere questo paese, possa veramente essere ascoltata, così che la normativa non sia il risultato di uno slogan politico ma di una vera presa di coscienza delle difficoltà e delle problematicità che noi viviamo in prima persona e che non ci consentono di fare al meglio quello per cui siamo assunti e pagati”.
Quali sono i punti che vi riguardano direttamente in relazione ai quali vi erano più aspettative da parte vostra?
“I temi cruciali per noi sono la tutela giuridica dell’operatore, il rafforzamento degli organici e l’adeguamento reale degli strumenti operativi e mi soffermo sull’ultimo di questi temi.
Vengono per esempio sbandierate le bodycam come un nuovo strumento di tutela ma ne siamo davvero certi? Ebbene, io non sono così convinto che l’installazione, tra l’altro non vincolante, delle bodycam, porti a una maggiore tutela e sicurezza nell’operatore.
Questo perché spesso le riprese audio e video possono essere mal interpretate, addirittura portando a conclusioni diametralmente opposte rispetto alle intenzioni dell’operatore.
Giudicare a posteriori un intervento non è sempre semplice, soprattutto quando le condizioni all’interno delle quali si opera sono complesse. Pensando a un noto caso di cronaca, il cosiddetto Caso Ramy, dall’interpretazione dei video sarebbe emersa l’assurda conclusione secondo cui il carabiniere posto all’inseguimento del ragazzo avrebbe tenuto una “inidonea distanza dallo scooter” e per questo a breve verrà rinviato a giudizio! O ancora, ricordate quanti giudizi negativi sono costate ai carabinieri le loro parole durante l’inseguimento? Come se due uomini di 30 anni altrettanto spaventati durante questa particolare situazione operativa, non debbano poter emettere due sproloqui o due incitazioni colorite?
Molto sommessamente mi chiedo e vi chiedo: ci si rende conto di cosa sia un inseguimento? Possiamo davvero pensare di stabilire i giusti cm di distanza o la velocità da tenere in quegli attimi così concitati e magari anche che nella volante debba regnare il silenzio? Ed è possibile farlo attraverso una rappresentazione video che non riporta nulla degli stati d’animo vissuti in quegli istanti?
Io credo di no, anche se tuttavia mi duole ammettere che è dall’interpretazione asettica di quel video che si gioca la responsabilità di un operatore delle forze dell’ordine che, ricordo, altro non stava facendo se non il proprio mestiere.
In tema di strumenti operativi vorrei tornare sull’importanza di permettere agli operatori delle forze di Polizia di acquistare a proprie spese una pistola più occultabile così da poterla avere sempre con noi ed innalzare certamente il livello di scurezza del paese anche al di fuori dell’orario di servizio. Una battaglia che personalmente conduco da oltre 15 anni e che vorrebbe la modifica del RD 635/40 e della Legge 690/1907 che permettono solo a Prefetti, Magistrati e Ufficiali di PS di acquistare una seconda arma ma dopo un secolo necessitano di una attualizzazione.
Il nuovo Decreto Sicurezza ha ascoltato questa proposta ed ha introdotto questa nuova possibilità che però resta congelata in attesa dei Decreti attuativi da parte delle Amministrazioni dei singoli Corpi di Polizia che come spesso accade stanno impiegano tempistiche abominevoli”.
Quanto al tema dei maggiori poteri nel caso di occupazione abusiva degli immobili, qualche studioso ha già sollevato il problema del limite posto alle vostre possibilità di intervento, dato che la legge prevede la possibilità di utilizzare questi strumenti immediati solo per la prima casa di abitazione. Sembra, invece, che i dati evidenziano come l’occupazione abusiva di immobili riguardi per lo più immobili concessi in locazione dai quali, però, chi vi è entrato ad abitare non intende più uscire e dunque non li restituisce ai legittimi proprietari e comunque secondo le case di abitazione. In base alla sua esperienza e ai dati che avete a disposizione come sindacato nazionale, quello appena varato è uno strumento che può risultare davvero efficace? E può venire in aiuto in un numero significativo di casi?
“La normativa è senz’altro utile ma mi permetto di segnalare alcune criticità ed è qui che emerge la distanza tra chi scrive le norme e chi vive la strada.
Limitare l’intervento immediato alla sola prima casa è una scelta miope, dimenticando tutte le seconde case, per le quali si rimanda alla normativa pre-decreto. Tuttavia, è proprio nelle seconde case che si concentra maggiormente il problema dell’occupazione e questo perché il proprietario ne esercita meno il controllo, vuoi perché situate altrove, vuoi perché adibite a mero luogo di villeggiatura.
In secondo luogo, permane il problema burocratico. Per quanto siano organizzabili in breve tempo squadre di uomini pronti a intervenire con una certa celerità, possono presentarsi comunque problemi di ordine pubblico, che richiedono l’intervento di più uomini o la realizzazione di un servizio ad hoc per tutelare tutti. Oppure, nel caso in cui l’occupazione coinvolga anche minori è necessario attivare un protocollo in collaborazione con gli assistenti sociali e questo avviene proprio perché la procedura non mira a garantire solo la vittima dell’occupazione ma anche l’occupante e soprattutto chi è con lui, specie se versa in condizioni di fragilità.
Il tema delle occupazioni, quindi, non è riducibile a un mero slogan. È invece, specialmente nel nostro Paese, foriero di problemi e di insidie che spesso, seppur con tutta la vicinanza e la buona volontà per ottenere un risultato soddisfacente, ostacolano o rallentano la procedura.
Escludere le seconde case o non tenere conto di quanto evidenziato significa svuotare di efficacia la norma e costringere cittadini e forze di polizia a lunghi percorsi giudiziari. Se si vuole restituire legalità, occorrono strumenti rapidi e universali, validi per tutti gli immobili, con tempi certi e senza lasciare zone franche dove l’illegalità mette radici”.
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Fonte: armietiro
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