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Cassazione sulle katane: il commento
L’avvocato Antonio Bana, ex presidente e attuale consulente giuridico di Assoarmieri, ha svolto una riflessione sulla recente sentenza della Cassazione inerente le katane e le spade “Fantasy” con punta e filo acuminati.
“Dopo la sentenza della Suprema Corte di Cassazione in merito all’obbligo di denuncia per Katane e spade fantasy rimangono aperti molti dubbi interpretativi che non si possono trascurare. Infatti, con la sentenza n. 26.866 del 22 luglio 2024 (ud. 27 giugno 2024), la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un cittadino condannato per la detenzione non denunciata, all’interno della propria abitazione, di una katana e di una spada fantasy con filo e punta acuminata, custodite in una teca.
Nel caso in esame, il difensore aveva eccepito che:
- non era stato condotto un accertamento concreto sulla destinazione d’uso degli oggetti;
- le caratteristiche (difficile maneggevolezza, collocazione in teca) ne avrebbero escluso la reale idoneità offensiva;
- gli strumenti avrebbero dovuto essere considerati come ornamentali o da collezione, sottratti alla disciplina penale.
La Cassazione ha tuttavia confermato la condanna, qualificando entrambe le lame come armi proprie.
Quale è stato il ragionamento della Corte nella sua motivazione?
La Corte ha richiamato i seguenti riferimenti normativi:
- l’art. 697 c.p., che punisce la detenzione non denunciata di armi soggette a denuncia;
- l’art. 30 T.U.L.P.S. (R.D. 773/1931) e l’art. 45 Reg. T.U.L.P.S. (R.D. 635/1940), che qualificano come armi proprie gli strumenti da punta e da taglio destinati all’offesa della persona (es. pugnali, stiletti, spade);
- la giurisprudenza costante secondo cui la katana, al pari della sciabola da samurai, ha come destinazione naturale ed esclusiva l’offesa della persona (Cass. n. 19198/2012; n. 37375/2019; n. 410/2022).
Tuttavia, la circostanza che le armi fossero esposte in una teca non è stata ritenuta idonea a mutarne la qualificazione giuridica, fatto che lascia notevoli perplessità nel ragionamento giuridico dei giudici.
Dall’esame della sentenza non si possono ravvisare che elementi di criticità poiché tale decisione solleva diversi profili problematici.
- L’automatismo della qualificazione
La Corte ribadisce l’assimilazione automatica tra katane e armi proprie, richiamando la funzione storica dell’oggetto. Ciò tuttavia ignora il fatto che, oggi, le katane sono diffuse come beni ornamentali, culturali e sportivi, più che come strumenti offensivi.
- Il mancato accertamento concreto
Non è stata compiuta alcuna verifica sul reale impiego degli oggetti (conservati in teca, non prontamente utilizzabili). La giurisprudenza, in casi simili, ha invece valorizzato l’uso prevalente: ad esempio, ha escluso la natura di arma propria per il machete agricolo e per i coltelli da lancio sportivi.
- I principi costituzionali
La disciplina del T.U.L.P.S., risalente a oltre 90 anni fa, rischia di confliggere con:
- il principio di determinatezza (art. 25 Cost.), in quanto non distingue tra armi effettivamente pericolose e oggetti ornamentali;
- il principio di proporzionalità (art. 27 Cost.), imponendo sanzioni penali sproporzionate per oggetti conservati senza finalità offensive;
- il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), equiparando situazioni non omogenee.
Giova da ultimo precisare che dal punto di vista difensivo, la sentenza conferma la difficoltà di sottrarre katane e spade affini alla nozione di arma propria. Tuttavia, alcune strategie argomentative restano percorribili:
- insistere sull’accertamento caso per caso della destinazione d’uso;
- documentare finalità collezionistiche, sportive o culturali;
- proporre questioni di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3, 25 e 27 Cost.
In conclusione la Cassazione ribadisce un orientamento restrittivo, volto a garantire il massimo controllo sugli strumenti storicamente concepiti come armi. Tuttavia, il diritto penale non può prescindere dal contesto sociale: ciò che un tempo era arma da combattimento, oggi può essere simbolo culturale o oggetto ornamentale.
L’auspicio è che il legislatore, o la stessa giurisprudenza, sappiano introdurre una disciplina più moderna ed equilibrata, che distingua tra effettiva pericolosità e mera forma esteriore.
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Fonte: armietiro
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