La caccia diventa “problema psichiatrico”?

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La caccia diventa “problema psichiatrico”?

A quanto pare la nuova frontiera della lotta alla caccia e ai cacciatori si gioca sulla psicologia. La Lav ha infatti chiesto un parere a una psicologa e psicoterapeuta, che peraltro è anche praticante animalista, impegnata con i Movimenti Antispecisti, Lav, Oltrelaspecie e simili. La dottoressa si è dedicata a fornire un circostanziato parere incentrato su cosa voglia dire avere cacciatori in famiglia, in particolare per i minori presenti nell’ambito famigliare. “…nelle loro case”, si legge, “vengono custoditi i preziosi ferri del mestiere: le armi…il problema è che l’essenza di un arma da caccia consiste nello sparare, ferire e uccidere, azioni che, almeno fino all’adolescenza, verranno anch’esse normalizzate”. Ora, ammettendo (non ci vuole molto) che sia proprio questa la funzione delle suddette, vorremmo far notare che le armi da caccia in tutte le case devono essere custodite, pena andare contro la legge. Al contrario i vari Tg, servizi giornalistici, fiction alla Gomorra e dintorni, film, manifestazioni di tutti i tipi, guerre in diretta, le armi le fanno vedere in azione, con contorno di corpi smembrati, carbonizzati o addirittura ben visualizzati nelle varie esecuzioni folcloristiche a cui tanti giovani si appassionano, e che vengono definite opere artistiche propinate dalle varie Tv. Da queste i giovani, dottoressa, cosa traggono? Insegnamenti simili, peggiori, uguali o migliori rispetto al padre che tornato dalla caccia mette via il fucile, peraltro coperto dal fodero? Ma poi viene il meglio: “costituiscono l’elemento centrale di una serie di comportamenti… appagati se con accettabile numero di vittime portate a casa con orgoglio, o accompagnati da malcelati malumori…”. Per la serie: attenzione che papà è ancora più crudele perché ha sbagliato una lepre! “I bambini impareranno a convivere con queste atmosfere…: l’ansia dell’attesa dei giorni di caccia…il non dargli tregua fissandolo nell’occhio del mirino (sic)…godendo del suo terror panico. E finalmente colpirlo”. Cara dottoressa, ma come ci spiega che a fronte di continui accoltellamenti da parte di minorenni, violenze infantili e adolescenziali verso i loro simili, nessuno di questi risulta mai essere figlio di cacciatore? E lo conferma il fatto, amplificato dalla Lav oltretutto, che siamo ormai una minoranza con al massimo 400.000 praticanti? E che in tutti, o quasi, gli illeciti fatti con armi spesso queste ultime sono illegali e custodite di nascosto in case sempre di non cacciatori? “I bambini, in estrema sintesi, imparano ciò che viene insegnato con le parole, ma ancor di più con i comportamenti”. Brava, giusto. I “suoi” cacciatori nel panorama umano, guardi un po’, sono tuttavia gli unici sempre controllati mentalmente e fisicamente. Nei comportamenti e nei discorsi. Lo sa dottoressa, e lo sa di sicuro, che basta un diverbio per vedersi togliere il porto d’armi e tutte le armi? Al contrario, le varie risse a bottigliate tanto psicologiche, trattate dagli psicologi sempre con il termine “disagio”, come mai vengono sempre giustificate come colpa dell’ambiente, della società, del sistema e mai, dico mai, della persona stessa? Al contrario, gli unici che debbono caricarsi delle colpe proprie siamo noi cacciatori. Non sente anche lei odore di malafede? “Innegabile che quelli intrinseci all’attività venatoria siano la negazione stessa dell’empatia, in quanto tesi a non curarsi del dolore delle vittime, ma anzi ad inorgoglirsi del loro strazio”. Non sappiamo quanto l’illuminato giudizio sia stato influenzato dalla conoscenza diretta di uno o più cacciatori: noi praticando la caccia e lavorando nel settore della caccia da sessant’anni, di cacciatori fatti come dice la psicologa non ne conosciamo nemmeno uno. Sarà sfortunata lei o noi? “È doveroso quindi che tra le ricadute dell’attività venatoria non venga ignorato e sottostimato il peso di una implicita educazione al non rispetto per esseri senzienti”. “…si dovrebbe cominciare a riflettere  se tale tirocinio non sia da considerare problema sociale…”.

Vogliamo parlare di problema sociale? E parliamone. Parliamo allora anche dell’idealizzazione sfrenata alla quale vengono sottoposti gli animali da compagnia nell’attuale società, arrivando per contro a considerare gli umani solo intrusi da trattare a coltellate o da eliminare dalla propria vita. I vecchi, emarginati nelle Rsa e dimenticati; i genitori uccisi, o capaci solo di essere bancomat a domanda o pensioni da ritirare in loro vece. Figli che non considerano i genitori perché troppo occupati a lisciare il gatto di casa. Ecco dottoressa, questo è il vero “problema sociale”. Troppo animalismo e nessun amore per il prossimo, la famiglia, la società e tutto il resto che cammina con due piedi. I cacciatori invece hanno il rispetto dei propri animali, dei loro padri e madri. Proprio perché conoscono molto bene cosa è la vita, e anche la morte. L’hanno imparato proprio da quello che lei chiama “problema sociale”. E non cercando paradisi o illusioni nelle pasticchette che, al contrario, tanti studiosi delle altrui masse cerebrali, non vedono stranamente come “problema sociale”.

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Fonte: armietiro
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