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Roggero: 14 anni per il gioielliere che sparò ai rapinatori
La sentenza d’appello è ancora una volta di condanna. Solo l’ammontare della pena è stato ridotto, da 17 anni dell’esito del processo di primo grado, all’attuale decisione, che ammonta a 14 anni e 9 mesi. Parliamo della vicenda processuale di Mario Roggero, il gioielliere che a Grinzane Cavour, nel cuneese, ha inseguito fuori dal proprio negozio i rapinatori che vi erano entrati per predare, per l’ennesima volta, monili e incassi. Due di essi sono rimasti sull’asfalto, freddati, il terzo è stato ferito a una gamba.
È uno dei casi che maggiormente ha raccolto solidarietà in questi anni, sia da parte di coloro i quali conoscono personalmente Roggero, sia da parte delle persone comuni che prima d’ora non l’avevano mai incontrato. È anche uno dei casi che maggiormente riaccende il dibattito tra i favorevoli alla legittima difesa “senza se e senza ma” e tra coloro i quali evocano il “Far West”.
Dal punto di vista processuale, l’avvocato difensore ha già annunciato ricorso in Cassazione, non appena saranno disponibili le motivazioni della sentenza. Solo quando sarà scritta l’ultima parola da una corte di giustizia sarà quindi possibile trarre il necessario insegnamento da quanto accaduto e definirne con precisione i contorni. Tuttavia, già oggi, soprattutto con l’analisi dei video della drammatica fase conclusiva della fuga dei rapinatori e dei colpi sparati da Roggero, molti parlano di vera e propria “esecuzione”, contestando alla radice l’esistenza dell’esimente della legittima difesa, mentre dall’altra parte si contesta l’entità abnorme della pena per un cittadino che si è trovato alla fine esasperato da una sequenza di innumerevoli atti violenti compiuti contro di sé e contro la propria famiglia, solo perché ha avuto la sfrontatezza di cercare di continuare a fare il proprio lavoro.
Come già avemmo modo di commentare all’indomani della sentenza di primo grado, per parte nostra non possiamo fare a meno di osservare come la pena inferiore a 15 anni di reclusione, tiene indubbiamente conto dei fattori che hanno determinato, per così dire, l’esasperazione che ha portato Roggero a inseguire i rapinatori fuori dal proprio negozio, cioè in un frangente nel quale, in condizioni normali, è già di per sé impossibile invocare la legittima difesa. Il codice penale parla chiaro, con accuse come quelle mosse a Roggero, strettamente collegate al bilancio di morti e feriti, l’ergastolo era praticamente automatico.
D’altro canto, da un punto di vista sostanziale piuttosto che formale, condannare a “soli” 15 anni di reclusione, anziché all’ergastolo, un cittadino di 71 anni equivale di fatto, comunque, a una condanna a vita, anche prevedendo una scarcerazione anticipata per i consueti benefici di legge. Il tutto, senza considerare che i risarcimenti che saranno dovuti ai parenti dei rapinatori determineranno in ogni caso la rovina economica sua e della sua famiglia. Ma questi sono aspetti che assumono rilevanza dal punto di vista umano: la giustizia prende in considerazione altri elementi che, sia nella sentenza di primo grado, sia in questa di secondo grado, poco hanno a che fare con le reazioni a caldo.
Visto tuttavia che anche noi ci troviamo fuori da un’aula di giustizia, possiamo a nostra volta commentare “di pancia”, ma con razionalità (almeno questo è l’auspicio…) che se è vero che la giustizia ritiene di avere ragione, quindi (con evidente ripetizione) di aver “fatto giustizia”, qui il vero colpevole non è il tribunale, o meglio i giudici, e tutto sommato non è neanche Roggero. Qui il colpevole è un altro, cioè lo Stato. Uno Stato che non è stato in grado di proteggere efficacemente Roggero da tutti i precedenti casi nei quali è stato minacciato, umiliato, malmenato, legato, lui e sua moglie, e la sua prole, all’interno del proprio negozio, alla mercé dei rapinatori. Uno Stato che quando i rapinatori vengono comunque catturati, processati e condannati, non riesce a ristorare le vittime dei loro atti in modo efficace, né sotto il profilo strettamente economico, né sotto il profilo di riuscire a estirpare dalle anime delle vittime quella paura agghiacciante che chiunque non si sia mai trovato con una pistola puntata in faccia, o alla testa dei propri cari, può soltanto provare, timidamente e in modo inadeguato, a immaginare. E per una paura così agghiacciante, trasformarsi in qualcosa d’altro non è poi così difficile.
È stato questo Stato a dotare Roggero di quella sorda determinazione che deve avergli fatto passare il segno definitivamente quel giorno del 2021: la determinazione dell’uomo semplice, del cittadino comune, dell’uomo della strada, che dopo anni passati a prendere calci in bocca, ha infine deciso che, questa volta, non si sarebbe limitato a subire, a sperare che prendessero solo i monili o i soldi, a sperare che anche questa volta andasse bene, con qualche livido, qualche umiliazione e basta.
Certo, si dirà: le rapine possono accadere, e non è possibile mettere un agente di polizia di guardia a ogni singola gioielleria, tabaccheria, farmacia d’Italia. È vero ed è per questo motivo che ancor oggi, seppur in un numero sempre inferiore di casi, è ancora possibile ottenere il sempre più mitologico porto d’armi per difesa personale. Tutto verissimo ma, anche in questo caso, il punto non è questo. Il punto è che se le rapine possono accadere, non è normale, o meglio non può essere considerato normale, che la stessa gioielleria, la stessa tabaccheria, la stessa farmacia venga rapinata a ripetizione, anno dopo anno, con monotona prevedibilità, anche più volte nell’arco di uno stesso anno, nella sostanziale incapacità da parte dello Stato di esercitare una efficace azione preventiva, anche se non repressiva, che possa fornire una efficace difesa per questi cittadini.
Ci sia consentito, se avete avuto la pazienza di leggere fin qui, di ricordare un’altra vicenda, molto simile anche se dagli esiti completamente opposti: quella di Fredy Pacini, il gommista aretino che riuscì a ottenere la scriminante della legittima difesa per aver sparato all’ennesimo ladro. Bene, gran successo, si dirà, la legge funziona! Ah sì? È vero, Pacini è stato archiviato, ma sui 38 furti, tra tentati e subiti, dei quali è stato vittima prima dell’evento fatale, è calato prontamente l’oblio, come sul fatto che Pacini era costretto a dormire nella propria officina, per non vedersela devastare e depredare per l’ennesima volta. 38 furti? Trentotto? In un Paese normale a quest’ora quel gommista doveva essere presidiato dai caschi blu dell’Onu, altro che discutere di traiettorie e di legittima difesa putativa! Come è possibile ammettere in uno Stato di diritto che un cittadino subisca 38 (trentotto!) furti senza pensare che quelli che sta subendo non sono più solo furti, bensì veri e propri attentati alla propria vita? Al proprio equilibrio mentale, alla propria capacità di mantenersi e di mantenere la propria famiglia, alla capacità di guardarsi ancora una volta allo specchio senza sentirsi un fallito, soverchiato dall’indifferenza? Ecco, forse è questo l’aspetto del quale né la giustizia, né il codice penale, né quello che vi pare, riescono oggi a tenere conto.
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Fonte: armietiro
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