Calibri “cinturati”: mito e realtà

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Calibri “cinturati”: mito e realtà

Se è un calibro magnum per carabina, allora deve avere la “cintura”. Questo è stato un assioma indiscutibile per decenni, parlando della progettazione dei nuovi calibri ad alte prestazioni che si andavano affacciando sul mercato, orientativamente tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del XX secolo. Con il termine “cintura” si intende quell’anello sporgente ricavato nel metallo stesso del bossolo, che si trova al di sopra del solco di estrazione di molti calibri definiti, appunto “magnum” dai produttori. Gli anglosassoni definiscono quell’anello con il termine belt (cintura, appunto) e i relativi bossoli dotati di questa caratteristica sono definiti di conseguenza belted. Ma le cose, come stanno davvero? La “cintura” è davvero indispensabile per rinforzare il fondello del bossolo quando vi sono pressioni di un certo livello? E se la risposta è no, allora a cosa serve la cintura?

Le origini

La “cintura” si trova immediatamente al di sopra della scanalatura di presa per l’estrattore. Il suo ruolo non è quello di rinforzare il bossolo per sopportare pressioni elevate, bensì di fornire una battuta affidabile in camera di scoppio, in particolare per quei bossoli che hanno una spalla poco accentuata.

Il belt è stato introdotto agli inizi del XX secolo dall’azienda britannica Holland & Holland, più precisamente nel 1912, data nella quale fu presentato uno dei calibri per caccia grossa africana più riusciti, diffusi e longevi di tutti i tempi, il .375 H&H magnum. Lo scopo principale del belt in realtà non era quello di rinforzare il fondello del bossolo rispetto alle pressioni sviluppate dalla cartuccia, bensì quello di garantire un efficace e costante punto di battuta del bossolo rispetto alla camera di cartuccia dell’arma. Questo perché il .357 H&H magnum ha, in effetti, una spalla piuttosto rastremata e sfuggente e nel caso in cui si decidesse di far andare in battuta il bossolo con la spalla, rispetto alla camera, potrebbero verificarsi situazioni nelle quali la cartuccia potrebbe affondare eccessivamente, dando luogo a mancate percussioni, perforazioni dell’innesco e altre magagne. Questo problema è tipico delle munizioni per carabina con bossolo piuttosto lungo e rapporto quasi pari tra diametro della palla e diametro del corpo del bossolo, come per esempio il .400 Whelen (che infatti proprio per questo motivo non ha avuto successo ed è rimasto allo stadio di Wildcat).

D’altro canto, fornire il bossolo di un orlo sporgente, come quelli classici per gli express a canne basculanti, avrebbe inficiato l’affidabilità di alimentazione nelle carabine a ripetizione manuale con otturatore girevole-scorrevole, per le quali il bossolo era stato creato. Fu quindi escogitata questa soluzione, che consentiva al bossolo di andare in battuta in camera in corrispondenza del fondello, come un bossolo rimmed, ma nello stesso tempo di non creare inceppamenti in alimentazione dai serbatoi bifilari delle carabine tipo Mauser, come un bossolo rimless.

A questo calibro “d’esordio” seguì nel 1925 un secondo belted, cioè il .300 Holland & Holland, anch’esso dotato di spalla sfuggente e rastremata ma, soprattutto, derivato direttamente dal .375. A questo calibro .300 sono poi seguiti, nel secondo dopoguerra, il .244 H&H magnum (nel 1955) e, soprattutto, i calibri oggi più diffusi e amati in assoluto tra i belted, cioè il 7 mm Remington magnum (1962), il .300 Winchester magnum (1963) e poi così via, fino a realizzare una discreta famigliola di calibri, tra i quali non si può evitare di menzionare anche tutta la gamma Weatherby, dal piccolo .224 fino al potente .460.

Il tramonto
Insomma, per un discreto numero di anni non c’è stato, o quasi, calibro per carabina definito “magnum” che non avesse il suo bravo fondello belted. Il che ha fatto credere, alla vasta platea degli appassionati, che solo la fatidica cintura magica potesse proteggere dall’esplosione proditoria della cartuccia in seguito alle pressioni elevate sviluppate.

In realtà le cose non stanno affatto così: molti produttori di calibri belted hanno adottato la fatidica cintura esclusivamente perché per le loro nuove cartucce si sono basate sul bossolo del .375 H&H, altri semplicemente perché ormai era di moda associare il termine “magnum” (e alte prestazioni) a un fondello belted. Il mercato se lo aspettava, in altre parole. E i cacciatori non sarebbero, probabilmente, risultati convinti delle prestazioni se la fatal cintura non fosse stata presente.

Sta di fatto che sul finire del XX secolo, l’onda di marea ha avuto il suo riflusso: in particolare, i produttori di munizioni si sono resi conto che far andare in battuta il bossolo con la camera il più vicino possibile al colletto (tipicamente, sulla spalla) poteva conferire una superiore precisione intrinseca, rispetto alla configurazione belted che, andando in battuta al fondello, può determinare piccoli disassamenti del colletto rispetto alla camera. Ecco quindi, il brusco tramonto del fondello belted rispetto a nuovi impianti balistici che, oltre alle prestazioni elevate in termini di energia cinetica, al loro esordio promettevano anche elevate caratteristiche di precisione. Tra i calibri moderni, qualificati “magnum” ma dotati di fondello rimless o rebated convenzionale possiamo annoverare la serie Ultra magnum e Short action ultra magnum di Remington, la serie Wsm di Winchester e, più di recente, i vari .375 e .408 Chey tac, per giungere al recentissimo .300 Prc realizzato da Hornady. Tutti calibri che promettono non solo elevate prestazioni, ma anche una precisione superiore nel tiro alle lunghe e lunghissime distanze.

Alcuni moderni calibri ad alte prestazioni, che hanno abbandonato il “belt”. Da sinistra: .300 Blaser magnum, .300 Prc, .33 Xc, .375 e .408 Chey tac.

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Fonte: armietiro
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