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Katane e spade Fantasy: se hanno punta e filo…
Con sentenza n. 26.866 del 22 luglio (udienza del 27 giugno), la Sezione I penale della corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da un cittadino che era stato condannato perché nella sua abitazione erano state trovate, contenute in una teca, una Katana e una “spada Fantasy” con filo e punta acuminata, non denunciate. La fattispecie di reato contestata è quella dell’articolo 697 del codice penale. L’avvocato difensore, in particolare, ha eccepito che “il Tribunale non avrebbe condotto quell’accertamento che, in concreto, sarebbe stato necessario per verificare la destinazione principale delle armi, con particolare riguardo al loro uso domestico, agricolo, scientifico, sportivo o industriale” e che “il Tribunale ha ritenuto quelle in contestazione come vere e proprie armi, malgrado le caratteristiche che ne rendono difficoltoso il porto e ardua la maneggevolezza, tenuto conto anche dei costumi del vivere moderno, dai quali dovrebbe escludersi la loro destinazione ad arrecare offesa alle persone e la configurabilità, nel caso concreto, di una funzione ornamentale o da collezione”.
I giudici hanno tuttavia respinto il ricorso, argomentando che “La fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 697 cod. pen. punisce la detenzione, senza avere presentato la prescritta denuncia all’Autorità, delle armi (…) che ai sensi dell’art. 38, r.d. 18/6/1931, n. 778 (T.U.L.P.S.), sono, appunto, soggette a denuncia. Quanto alla nozione di armi, l’art. 704 cod. pen. stabilisce che «agli effetti delle disposizioni precedenti», tra le quali vi è anche l’art. 697 cod. pen., per «armi» si intendono, tra l’altro, «quelle indicate al n. 1 del capoverso dell’art. 585», alla cui stregua nella predetta nozione rientrano «quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona». La definizione, a sua volta, corrisponde alla nozione di «arma» di cui all’art. 30, r.d. n. 773 del 1931 (T.U.L.P.S.), il cui regolamento (r.d. n. 635 del 1940) ulteriormente precisa, all’art. 45, che, agli effetti del citato art. 30, sono considerate «armi» gli strumenti da punta e da taglio, la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, come pugnali, stiletti e simili (comma primo), e che, agli stessi effetti, non sono, considerate tali gli strumenti da punta e da taglio che, pur potendo, occasionalmente servire all’offesa, hanno una specifica e diversa destinazione, come gli strumenti da lavoro, quelli destinati a uso domestico, agricolo, scientifico, sportivo, industriale e simili (comma secondo). Coerentemente con le citate disposizioni, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che per «arma in senso proprio» deve intendersi quella la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, e che rientrano in tale categoria, ai sensi dell’art. 30 T.U.L.P.S. e dell’art. 45, comma 1, del relativo regolamento, sia le armi da sparo sia quelle cosiddette bianche, mentre non sono da ritenersi armi, e non è quindi loro applicabile, in caso di detenzione o porto, la relativa disciplina, quegli strumenti che, pur avendo una diversa specifica destinazione (domestica, agricola, scientifica, sportiva, industriale e simili), possono tuttavia servire occasionalmente all’offesa personale, ed essere ritenuti strumenti atti a offendere, secondo le indicazioni date dall’art. 4 legge n. 110 del 1975 (Sez. 1, n. 11687 del 18/10/1982, Pineda, Rv. 156531; Sez. 1, n. 7199 del 12/5/1994, Sciortino, Rv. 199811). La giurisprudenza di legittimità ha anche affermato che la distinzione tra le armi “proprie” e quelle “improprie” risiede non tanto nelle caratteristiche costruttive e strutturali dei singoli strumenti e nella idoneità all’offesa alla persona, comune sia all’una, sia all’altra categoria, quanto nella individuazione, tra tutte le possibili destinazioni, di quella principale corrispondente all’uso normale da accertare con specifico riferimento a quello che rappresenta l’impiego naturale dei singoli strumenti in un determinato ambiente sociale alla stregua dei costumi, delle usanze, delle esperienze affermatisi in un dato momento storico (Sez. 1, n. 37208 del 14/11/2013, dep. 2014, Carnicelli, Rv. 260776; Sez. 1, n. 19198 del 03/04/2012, Giusti). Con riferimento alle fattispecie concrete analizzate, si è ritenuto non rientrare nel novero delle armi proprie il cosiddetto machete, che, in quanto strumento elettivamente concepito per impieghi agricoli o boschivi, non può essere considerato come naturalmente ed esclusivamente destinato all’offesa della persona (Sez. 1, n. 5944 del 21/11/1995, dep. 1996, Cervicato, Rv. 203268; Sez. 1, n. 1453 del 17/03/2009, Gebril, Rv. 243917) e il coltello da lancio, normalmente destinato a uso sportivo per il tiro al bersaglio (Sez. 1, n. 7957 del 11/02/1982, Tosani, Rv. 155069; Sez. 1, n. 9300 del 9/05/1985, Lattuca, Rv. 170741), mentre sono state considerate armi proprie non da sparo o bianche, fra le altre, la sciabola da samurai (Sez. 6, n. 8930 del 5/06/1984, Zeni, Rv. 166241) e la katana, tipica spada utilizzata dai samurai giapponesi (Sez. 1, n. 19198 del 2012, Giusti, cit.). secondo la giurisprudenza di legittimità, la katana rientra nel novero delle armi proprie, concepita come strumento di offesa alla persona e perciò in uso fino a tempi recenti agli ufficiali dell’esercito giapponese (Sez. 1, n. 37375 del 28/02/2019, Patusso), e avente come «destinazione naturale ed esclusiva, come tutte le spade, quella di offendere la persona» (Sez. 1, n. 15431 del 24/02/2010, Frati, Rv. 247238; Sez. 1, n. 410 del 18/10/2022, Caravello). Neppure rileva l’assenza della caratteristica della lama a due tagli che, secondo il ricorrente, è necessaria ai fini della definizione dell’arma quale arma «propria», atteso che la distinzione «risiede non tanto nelle caratteristiche costruttive e strutturali dei singoli strumenti e nella idoneità all’offesa alla persona, comune sia all’una, sia all’altra categoria, quanto nella individuazione, tra tutte le possibili destinazioni, di quella principale» (Sez. 1, n. 37208 2013, dep. 2014, Carnicelli, cit.; Sez. 1, n. 19198 del 2012, Giusti, cit.). Ed invero, a tale proposito, è analogamente infondata la censura, generica e aspecifica, riguardante il mancato accertamento della destinazione principale degli oggetti in sequestro, in relazione al loro uso normale o primario, non risultando neppure adeguatamente allegato, da parte dell’imputato, che le armi avessero una destinazione diversa, ossia che si trattasse di strumento da lavoro, agricolo, scientifico, sportivo, industriale, essendosi limitato il ricorrente ad affermare che le armi si trovavano conservate in una teca e non escludendo, tale circostanza, la fattispecie della detenzione. Anche nella fattispecie in esame, dunque, deve affermarsi il principio per cui a rilevare non è la giustificazione postuma della detenzione per ragioni consentite, quanto, piuttosto, quella (nel caso di specie, assente) fornita al momento dell’accertamento di polizia giudiziaria. Del tutto congruamente, pertanto, il giudice di merito ha qualificato gli oggetti in contestazione quali armi “proprie”, non solo in considerazione delle loro caratteristiche – le katane con punta e taglio, l’arma cd. fantasy con due punte acuminate – bensì della loro normale destinazione all’offesa. Da quanto esposto, discende il rigetto del ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali”.
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Fonte: armietiro
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