Pistole in 4 mm Flobert: l’acquisto on-line costa caro

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Pistole in 4 mm Flobert: l’acquisto on-line costa caro

Non sono solo le armi ad aria compressa (di potenza superiore ai 7,5 joule) ad avere il “potere” di costare carissime a sprovveduti appassionati che le acquistano on-line su siti esteri. Una recente sentenza della Cassazione evidenzia che se invece dell’aria compressa si acquistano e si fanno arrivare in Italia armi da fuoco anche in calibri talmente piccoli da essere di libera vendita nel Paese venditore, si possono rischiare conseguenze ancor più gravi. Nello specifico, un cittadino italiano aveva acquistato on-line su una piattaforma della Repubblica ceca due revolver camerati per il calibro 4 mm Flobert, che nel Paese d’origine sono di libera vendita. Ma non altrettanto si può dire per l’Italia. Di conseguenza le armi sono state sequestrate ed è scattato un procedimento penale con l’accusa, oltre alla detenzione abusiva di armi ex art. 697 del codice penale, di detenzione di armi clandestine ex art. 23 della legge 110/75, perché entrambe le armi non erano provviste dei punzoni di un Banco di prova riconosciuto. Proposto ricorso in Cassazione, con sentenza n. 10330 del 14 marzo 2023, i giudici hanno confermato le condanne inflitte in primo e secondo grado, evidenziando che “Sul tema della clandestinità di un’arma, occorre mettere a raffronto le due fondamentali disposizioni previste dagli artt. 11 e 23 I. 18 aprile 1975, n. 110. Nel precisare quali armi (comuni da sparo) siano da considerare clandestine, l’art.23 indica, al n. 2) del primo comma, «le armi comuni e le canne sprovviste dei numeri, dei contrassegni, e delle sigle di cui al precedente articolo 11». Dal piano tenore letterale di tale disposizione si desume, con evidenza, che la elencazione degli elementi di identificazione non è fatta in termini di alternatività, nel senso cioè che, per escludere il carattere di clandestinità dell’arma, sia sufficiente la presenza di uno o più dei suddetti elementi, ma è fatta in termini di compresenza, nel senso che l’arma è regolare solo quando sia riscontrata la concorrenza di tutti i segni richiesti dalla legge, e cioè dei numeri, dei contrassegni e delle sigle specificati dall’art. 11: basta, perciò, l’assenza di uno di tali elementi perché l’arma sia da considerare clandestina. L’art. 11 sopra citato prevede, a sua volta, una regolamentazione parzialmente differenziata a seconda che si tratti di armi prodotte nello Stato (commi 1 e 2), ovvero di armi prodotte all’estero o importate dall’estero, come le due pistole oggetto del caso in esame (commi 3, 4, 5 e 6). Per quelle prodotte in Italia, è prescritta l’apposizione, in modo indelebile, ed a cura del produttore, della sigla o del marchio (si intende dello stesso produttore) idonei (sigla o marchio) a identificare le armi, nonché del numero di iscrizione del prototipo nel catalogo nazionale e del numero progressivo di matricola. Inoltre, le armi devono recare uno speciale contrassegno (con l’emblema della Repubblica Italiana e la sigla di identificazione del Banco nazionale di prova di Gardone Valtrompia o di una sua sezione), che serve come attestazione che si è proceduto ad accertare la presenza delle tre indicazioni sopra specificate. Giova rammentare che il Banco nazionale di prova di cui all’art. 11, secondo comma, legge n. 110 del 1975 è l’Ente di diritto pubblico cui il comma 12- sexiesdecies dell’art. 23 d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha attribuito, a seguito della soppressione del Catalogo nazionale delle armi, il compito di verificare, per ogni arma prodotta, importata o commercializzata in Italia, la qualità di arma comune da sparo, nonché la sua corrispondenza alle categorie di cui alla direttiva europea CEE/477/91, e succ. mod., inserendo la relativa valutazione in database pubblico, liberamente consultabile. Detta valutazione, da cui dipende la possibilità di legale detenzione dell’arma nel nostro Paese, ha valore vincolante “in negativo” per il giudice, che non può disattenderne il contenuto implicito di esclusione dal novero delle armi da guerra.

Gli elementi richiesti per una corretta identificazione di armi prodotte in Italia sono, pertanto, quattro: 1) sigla (o marchio) del produttore; 2) numero di iscrizione nel catalogo nazionale delle armi; 3) numero progressivo di matricola e 4) speciale contrassegno del Banco nazionale di prova. Come già accennato, è sufficiente la mancanza di uno solo di tali elementi perché l’arma sia considerata clandestina (Sez. 1, n. 18778 del 27/03/2013, Reccia, Rv. 256014 – 01; Sez. 1, n. 2230 del 17/03/1999, Ponzio, Rv. 213059 – 01). Per quelle prodotte all’estero, recanti i punzoni di prova di uno dei banchi riconosciuti per legge in Italia, non è necessario quest’ultimo speciale contrassegno quando rechino gli altri tre elementi di cui sopra.

Le condizioni richieste dalla legge perché le armi prodotte all’estero siano considerate regolari sono, quindi, due: a) che rechino i punzoni di prova e b) che rechino gli altri tre elementi sopra specificati. Grava sull’importatore l’obbligo di curare i necessari adempimenti qualora manchi anche uno solo dei quattro segni distintivi di cui sopra, che verrà apposto dal Banco Nazionale di prova su richiesta motivata dell’avente diritto, vistata dall’ufficio locale di pubblica sicurezza: in tal caso, invece, del numero di matricola, verrà impresso il numero progressivo di iscrizione della operazione. Come si vede, si tratta di un insieme di disposizioni precise e non derogabili, che sono dettate allo scopo di sottoporre a costante controllo tutte le armi comuni da sparo e di procedere alla pronta identificazione, oltre che del produttore, del modello (o tipo) e della singola arma.

Nel caso di specie, le due pistole in sequestro, di fabbricazione cecoslovacca, non recavano i punzoni di prova di un banco riconosciuto per legge in Italia, la presenza dei quali, unitamente agli altri elementi indicati al primo comma dell’art. 11, avrebbe consentito – come preteso dal difensore – il non assoggettamento alla presentazione delle armi medesime al Banco di prova di Gardone Valtrompia. In assenza dei prescritti elementi, l’avente diritto (l’imputato) avrebbe dovuto, viceversa, presentare le armi al suddetto Banco di prova che avrebbe provveduto ad apporli. Non avendo l’imputato assolto ai previsti adempimenti di legge, le armi in discussione, seppure munite di numero di matricola, non potevano che considerarsi clandestine nei sensi di cui agli artt. 11 e 23 della legge n. 110 del 1975. Ciò anche in considerazione della diversa finalità degli obblighi prescritti dalla suddetta legge: da un canto, l’esigenza di accertare che un’arma sia da riconoscere come arma comune e non da guerra; dall’altro, la necessità di accertarne la legittima provenienza e di pervenire alla pronta identificazione di essa ai fini di sicurezza pubblica, esigenze che valgono sia per le armi prodotte in Italia sia, a maggior ragione, per quelle prodotte all’estero (Sez. 1, n. 2230 del 1999, cit.). Corretto, in conclusione, è l’approdo cui è pervenuta la Corte di appello nel ritenere configurata la fattispecie di reato di cui all’art. 23 I. n. 110 del 1975 in relazione alle due pistole detenute dall’imputato”.

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Fonte: armietiro
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