Porto d’armi negato per evasione fiscale? Il Tar dice no

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Porto d’armi negato per evasione fiscale? Il Tar dice no

Con sentenza n. 01071 del 15 giugno 2022 (pubblicata il 24 giugno), il Tribunale amministrativo regionale di Venezia ha accolto il ricorso di un cittadino che si è visto respingere l’istanza per il rinnovo del Porto di fucile per Tiro a volo a causa di alcuni procedimenti penali in corso presso il tribunale di Vicenza, per il mancato versamento dell’Imposta sul valore aggiunto e delle ritenute fiscali da parte delle società delle quali il ricorrente era amministratore.

La questura ha motivato il provvedimento osservando che “a prescindere dallo stato di avanzamento del procedimento penale, la mancata adesione dell’interessato ai precetti dell’honeste vivere è sufficiente a minare il rapporto di completa fiducia che deve intercorrere tra il titolare della licenza e l’Amministrazione autorizzante, specie in presenza di condotte reiterate e pervasive, dalle quali sarebbe emersa, nella fattispecie, una personalità propensa a violare la legge in contatto con i principi di civile convivenza, incapace di attivare quelle barriere di controllo sul proprio comportamento che normalmente consentono di evitare di incorrere in illeciti di natura penale”.

In sede di ricorso, il cittadino ha fatto notare che i mancati versamenti erano da riferirsi a somme correttamente indicate nelle dichiarazioni fiscali, “le quali non sarebbero state liquidate all’Erario soltanto a causa delle gravi difficoltà economiche attraversate dalle società amministrate, difficoltà che avrebbero poi condotto all’assoggettamento a procedura concorsuale delle società del gruppo”.

Il tribunale di Vicenza, peraltro, “ha omologato il concordato di gruppo votato dalla maggioranza dei creditori, cui sono seguite l’approvazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di una transazione fiscale che ha definito – riducendolo fortemente – l’intero carico tributario, e la declaratoria di non luogo a provvedere sull’istanza di fallimento”.

Il cittadino ha quindi definito tre motivi per l’accoglimento del ricorso: “la violazione del principio del contraddittorio, ritenendo che l’Amministrazione non abbia preso posizione sulle osservazioni e i rilievi esposti nella memoria difensiva, depositata nel corso del procedimento a seguito della comunicazione del preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10 bis, l. n. 241 del 1990 (1° motivo), nonché l’erroneità e l’ingiustizia della motivazione, in quanto le condotte afferenti ai reati fiscali, contestate all’interessato, non potrebbero alimentare un fondato giudizio di inaffidabilità sull’uso delle armi e non costituirebbero quindi fattori ostativi al rinnovo, pur discrezionale, dell’autorizzazione di polizia (2° e 3° motivo)”.

I giudici hanno accolto il ricorso, concordando sul fatto che “come da tempo chiarito dal Consiglio di Stato, l’eventuale commissione di reati fiscali da parte del detentore di armi, legale rappresentante della società debitrice nei confronti dell’Erario, non costituisce requisito sufficiente per sorreggere la revoca (e quindi per denegare il rinnovo) dell’autorizzazione di polizia precedentemente rilasciata, poiché da tali particolari condotte non può essere dedotto “alcunché riguardo alla correttezza ed avvedutezza nella custodia e nel maneggio delle armi medesime” (Cons. Stato, Sez. III, 12 luglio 2016, n. 3092).

I reati addebitati al ricorrente non appaiono per se stessi significativi del pericolo di abuso delle armi (non essendo indicatori di un loro uso illecito né di eventuali trascuratezze nella loro custodia), tanto più in mancanza di contestuali manifestazioni di aggressività verso le persone, seppure senza l’impiego di armi, ovvero di scarso equilibrio o di scarsa capacità di autocontrollo, manifestazioni che appaiono sintomatiche di una situazione – precauzionalmente rilevante – di rischio per l’incolumità pubblica;

inoltre, nel caso esaminato, la condotta serbata dal ricorrente, fattivamente impegnato a redimere l’esposizione debitoria delle società anche nei confronti dell’Agenzia delle Entrate – come in definitiva comprovato dall’omologazione della proposta concordataria da parte del Tribunale e dall’approvazione della transazione fiscale -, palesa l’intendimento di attenuare e per quanto possibile rimuovere, attraverso gli strumenti concessi dall’ordinamento giuridico, gli effetti negativi – per il ceto creditorio e per la collettività – dei fatti addebitatigli, agevolando, in mancanza di ulteriori elementi indicativi di possibili abusi (non esplicitati dalla Questura), un giudizio prognostico non sfavorevole”.

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Fonte: armietiro
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