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Premio giornalistico Almerigo Grilz: la seconda edizione
Documentare le umane vicende in ambienti ostili non è cosa semplice e la criticità dell’attività giornalistica incontra la sua massima espressione nella professione dell’inviato di guerra.
Da sempre le informazioni giungono nelle nostre case direttamente dai più disparati fronti bellici dispersi in tutto il globo, grazie a giornalisti e reporter animati dalla voglia di vedere con i propri occhi, di capire, di divulgare, spingendosi nei luoghi più remoti del pianeta ed affrontando rischi socio-politici, sanitari e naturali come pochi altri.
Non a caso in epoca moderna chi si avvicina ad un conflitto si prepara adeguatamente (o dovrebbe farlo) anche frequentando corsi immersivi durante i quali i reporter imparano a familiarizzare con i rischi che incontreranno nello specifico sistema-Paese nel quale opereranno, e non solo. Anche perché per il datore di lavoro, oggi, l’invio di propri dipendenti all’estero determina precisi obblighi di tutela della sicurezza, che costituiscono una vera e propria duty of care.
Certo, l’epoca in cui viviamo, che qualcuno in modo ironico ma efficace ha definito l’era del paradosso, ci ha insegnato che si può giocare ad apparire war reporter anche semplicemente facendosi riprendere in una capitale indossando giubbino anti-proiettile ed elmetto mentre, alle spalle, i cittadini del Paese ospitante proseguono tranquillamente nella spesa alimentare ma, ahinoi, oltre che dei paradossi questa è anche l’epoca del cosplaying, nella quale travestirsi, simulare ed in definitiva inscenare sono diventati attività spesso più confacenti all’attività giornalistica che testimoniare i fatti per come accadono.
In ogni caso, quando le penne si prestano ad inscenare una realtà inesistente per manipolare l’opinione pubblica anziché documentare i fatti, l’ambito passa dal giornalismo alla politica e la circostanza è quanto mai sconveniente, dato che proprio una certa politica ha voluto dimenticare per mezzo secolo il primo inviato di guerra italiano caduto dopo la fine della seconda guerra mondiale, in realtà regalandoci un esempio di giornalismo, un simbolo ed ora un grande premio giornalistico.
Chi era Almerigo Grilz
“Ruga”, come lo chiamavano gli amici, nel 1982 documenta l’invasione israeliana del Libano e il ritiro palestinese da Beirut. Nel 1983 fonda, insieme a Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, l’Albatross Press Agency, iniziando lo stesso anno una collaborazione con la CBS, per la quale documenterà nel 1984 il conflitto tra la guerriglia cambogiana e le truppe governative appoggiate dal Vietnam.
E poi i servizi dal confine birmano-thailandese, la guerra tra Iran e Iraq, l’Angola, l’attività dei ribelli comunisti nelle Filippine nel 1986 per la Nbc, il Mozambico, l’Etiopia.
Nel 1987 ritorna in Mozambico al seguito dei ribelli della Renamo. È il suo ultimo reportage. All’alba del 19 maggio cade colpito a morte da una pallottola alla nuca mentre filma un attacco della guerriglia alla città di Caia. Il corpo riposa nella foresta, ma il suo ricordo è patrimonio di tutti gli Italiani.
Il premio giornalistico e gli eventi collegati
Il premio ha raccolto l’adesione entusiastica di numerosissime personalità del mondo dell’informazione, direttori e giornalisti fermi nell’intento di riconoscere il peso storico del lavoro di Almerigo.
La giuria sarà infatti composta da Maurizio Belpietro, Fausto Biloslavo, Giovanna Botteri, Toni Capuozzo, Tommaso Cerno, Gian Marco Chiocci, Peter Gomez, Gian Micalessin, Gabriele Micalizzi, Alessandro Sallusti, Francesco Semprini, Gabriella Simoni.
Numerosissimi gli eventi in calendario, compresa una mostra fotografica (che si inaugura domani a Trieste) “Dentro il fuoco – 12 mesi di guerre raccontate dai giornalisti del Premio Grilz”, che ha visto vincitori della prima edizione il fotografo Alfredo Bosco, i giornalisti Luca Steinmann, Elia Milani, Salvatore Garzillo, Karolina Chernoivan.
Calendario completo e molte altre informazioni sul sito https://premioalmerigogrilz.it
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Fonte: armietiro
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