Tar: la prefettura non può fare come la “Stasi”

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Tar: la prefettura non può fare come la “Stasi”

Con sentenza n. 316 pubblicata il 16 aprile 2024, la sezione staccata di Brescia (sezione prima) del Tar della Lombardia ha accolto il ricorso di un cittadino, al quale la prefettura aveva negato l’accesso agli atti per conoscere le motivazioni in base alle quali era stato motivato un divieto di detenzione armi ex art. 39 Tulps.

La decisione della prefettura era scaturita da una nota dei locali carabinieri, secondo i quali tra il ricorrente e il fratello era in atto una situazione di altissima conflittualità. Nel provvedimento di divieto di detenzione armi, peraltro non preceduto da comunicazione di avvio del procedimento, si cita l’esistenza di tale nota, senza che tuttavia vengano esplicitati i contenuti del documento. Alla richiesta di accesso agli atti, per leggere la nota in questione, la prefettura ha opposto rifiuto, dichiarando che “gli atti richiesti non sono ostensibili, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento del Ministero dell’interno del 16.3.2022, che disciplina le categorie dei documenti sottratti al diritto di accesso”. In particolare, il regolamento citato consentirebbe di secretare i documenti “per ragioni inerenti all’attività di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità”.

I giudici hanno accolto il ricorso, specificando che “il diniego d’accesso è qui giustificato in forma del tutto sommaria, con un succinto richiamo ad una disposizione che include ben diciannove distinte fattispecie. Un’approssimazione che ha imposto all’interessato un impegno esegetico del tutto ingiustificato, che viene ora traslato sul giudice, il quale non può certo appagarsi dell’integrazione della motivazione proposta, solo in sede giudiziale, dal difensore dell’Amministrazione, secondo cui la nota di specie sarebbe riconducibile alla materia dell’ordine e della sicurezza pubblica (art. 3, c. 1,lett. a), vertendosi in materia di armi e munizioni, e per il quale difensore, inoltre, tra i documenti sottratti all’accesso rientrano anche “le relazioni di servizio, le informazioni e gli altri atti o documenti attinenti ad adempimenti istruttori relativi a licenze, concessioni o autorizzazioni comunque denominate o ad altri provvedimenti di competenza delle autorità di pubblica sicurezza” (art. 3, c. 1,lett. b). Invero, quanto alla lettera a) del’art. 3, si può escludere che la detenzione di armi da parte di privati inerisca sempre e comunque “all’attività di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o di prevenzione e repressione della criminalità”; e qui manca, come osserva il ricorrente, qualsiasi elemento per affermare che ciò si verifichi nel caso in esame, dove sarebbe al più presente un contrasto privato. È poi significativo che l’Avvocatura dello Stato richiami questa disposizione, trascurando la deroga in essa contenuta, ovvero “salvo che, per disposizioni di legge o di regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità”; altrettanto significativo che riproduca testualmente la lett. b) dell’art. 3 solo nella prima parte, omettendone il seguito, ovvero che nell’ambito dei documenti sottratti all’accesso sono“compresi quelli relativi al contenzioso amministrativo”, che però contengano “notizie relative a situazioni di interesse per l’ordine e la sicurezza pubblica e per l’attività di prevenzione e repressione della criminalità” (e torna così il tema del contrasto tra privati), e, anche qui, “salvo che, per disposizioni di legge o di regolamento, ne siano previste particolari forme di pubblicità o debbano essere uniti a provvedimenti o atti soggetti a pubblicità”.

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Fonte: armietiro
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