Tar Lombardia: stop alla caccia in tutti i 475 valichi montani

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Tar Lombardia: stop alla caccia in tutti i 475 valichi montani

L’avvocato Antonio Bana, ex presidente di Assoarmieri, ci ha inviato un autorevole commento sulla recentissima sentenza del Tar Lombardia che ha vietato la caccia (tutta…) su 475 valichi del territorio regionale. Riceviamo e pubblichiamo: “Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, con la sentenza n. 01516/2025 del 2 maggio 2025, ha assestato un colpo durissimo che rischia di avere conseguenze devastanti per l’intera attività venatoria italiana e non solo, ma anche per il comparto armiero e cinofilo, con un impatto economico che, se non verrà affrontato seriamente e in modo tempestivo segnerà l’ora più buia del nostro mondo venatorio.

La decisione presa dal Tar Lombardia di chiudere la caccia (in tutte le sue forme) su ben 475 valichi montani del territorio regionale, si basa su una presunta, intollerabile e seriamente poco scientifica interpretazione normativa dell’articolo 21 comma 3 della legge 157/1992 che impone il divieto di caccia su tutti i valichi alpini interessati dalle rotte migratorie dell’avifauna per un raggio di 1.000 metri!!

È evidente che l’accanimento avverso la caccia posto in essere dalla Lac, ha fatto breccia tra le fragili maglie ormai sfibrate della vecchia mummia della legge 157/1992, che risulta assolutamente inattuale a seguire le nuove istanze di gestione faunistico – venatoria e, in ogni caso, incapace nel risolvere vecchi nodi interpretativi e anche del tutto inadatti alle diverse tipologie di caccia come per esempio la caccia di selezione agli ungulati e quella di contenimento ai cinghiali per il proliferarsi della peste suina sui nostri territori.

Tra le molteplici e fantasiose motivazioni che si possono evidenziare a una prima lettura della  decisione del Tar, si porta all’attenzione quella in cui si afferma che “Risulta palese laddove siano presenti valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell’avifauna è necessario inibirvi, in via assoluta, lo svolgimento di attività venatoria per una distanza di mille metri dagli stessi… quindi , una volta accertata la presenza di 475 valichi interessati da rotte di migrazione, al fine di attuare il perentorio disposto normativo e garantire una effettiva tutela dell’avifauna è richiesta l’imposizione di un divieto di caccia assoluto riferibile a tutti i predetti valichi”. Corre l’obbligo dover precisare cosa si deve intendere per “valico montano” interessato dalle rotte di migrazione ovvero “Una depressione presente in un punto di un contrafforte montuoso che consente il passaggio con minor difficoltà tra due valli”.

In questo caso, sono stati presi in considerazione tutti i passaggi situati ad almeno 600 metri  di quota oppure, nel caso fossero anche più bassi, comunque gli stessi situati in Comuni con un’altitudine media superiore a 600 metri… una follia!

Ma la questione è ancora più assurda se si pensa che la presenza di una rotta migratoria in corrispondenza di un valico è stata dedotta, udite bene, utilizzando una griglia geografica di celle da 5 km di lato.

All’interno di ciascuna cella è stato sufficiente rilevare la presenza anche solo parzialmente di uno o più indicatori tra i quali dati storici di inanellamento oppure la presenza di appostamenti fissi di caccia o, ancora, riferimenti di documentazione nella lettura scientifica (quando per i primi e quale per i secondi non è dato sapersi!).

A questo punto, anche un solo piccolo riscontro è stato considerato valido al fine di attribuire a quel valico una funzione di migrazione e dunque in automatico, sottoporlo a un divieto assoluto di caccia.

Giova sul punto precisare inoltre che lo stesso commissario nella sua relazione ammette che “una protezione piena e non proporzionale richiederebbe la chiusura di tutti i 475 valichi”, ma lo stesso ammette e quindi riconosce “una carenza di base nell’assenza di attenti approfondimenti su molti di essi”.

Questo cosa vuol dire? Che non vi è stato un riscontro oggettivo su quella che la densità dei flussi migratori e di quella che è stata l’effettiva rilevanza ecologica che quel determinato valico ha dato nella sua incidenza.

Una questione di rilevante importanza non può sfuggire sulla questione di legittimità costituzionale delle norme delle leggi statali e regionali sulla caccia per l’asserito contrasto delle medesime con l’art. 9 della Costituzione.

Evidente e quanto mai veritiera l’affermazione secondo cui “nell’esercizio del proprio potere normativo il legislatore dovrà necessariamente bilanciare l’interesse alla tutela animale con altri valori costituzionali, visto che nel nostro ordinamento i valori fondamentali sono in rapporto di reciproca integrazione, senza che nessuno di essi possa assumere valenza assoluta verso gli altri”.

Il salto logico che hanno posto in essere i giudici del amministrativi è stato quello anche di forzare giuridicamente una valutazione scientifica che lo stesso commissario nella sua relazione aveva impostato in una “proposta preventiva di un approccio pragmatico sulla base di una valutazione di un certo numero di valichi da interdire immediatamente e altri valichi nel numero di 15 da monitorare per almeno due anni per poi basarsi su quei criteri scientifici e su quei dati certi che avrebbero poi dato un rendicontazione effettiva al fine di una chiusura o meno dell’attività venatoria”.

È stato quindi totalmente travalicato (è proprio il caso di dire) qualsiasi bilanciamento dal punto di vista motivazionale e giuridico tra i beni in essere della tutela ambientale e del diritto all’attività venatoria, negando in ogni caso quello che può essere una pianificazione corretta a livello scientifico del rapporto faunistico venatorio che in tutti questi anni, si è cercato di preservare.

Il danno che ne deriva è devastante: non ci sono mezzi termini per poterlo identificare. La conseguenza, infatti, di questa decisione non riguarderà soltanto la caccia tradizionale al passo, ma si estenderà a tutte quelle altre forme di caccia come quella stanziale, la caccia vagante con il cane, la caccia di selezione agli ungulati e perfino anche le attività dell’addestramento dei cani, ma sarà incluso anche tutta una serie di appostamenti fissi autorizzati che rischiano sicuramente una sospensione o addirittura la loro cancellazione dalla mappa, con un danno diretto per migliaia di cacciatori che in questo momento si stanno preparando alla prossima stagione venatoria e hanno già investito le loro somme di denaro nella loro rispettabile e legittima passione. Questo è un danno per tutto il comparto venatorio, armiero  e cinofilo al quale bisogna porre immediato rimedio che dal punto di vista giuridico può essere rappresentato con un repentino ricorso al Consiglio di Stato da parte di Regione Lombardia, al fine di ottenere la sospensione o la revisione del provvedimento, ma sicuramente quello che si chiede è un intervento ancora più duro, un intervento ancora più incisivo, un intervento del Governo per andare a modificare l’articolo 21, comma 3 della legge 157 del 1992, che, come dicevo all’inizio, è una mummia e la sua radicale abrogazione sul divieto di caccia sui valichi montani ne dovrebbe essere una auspicabile conseguenza, poiché a livello europeo non vi è nessuna norma che imponga questo vincolo ed è solo l’Italia l’unica che applica questo tipo di assurda tutela.

È necessario non dimenticare che l’ordinamento dell’Unione europea non vieta la caccia! Una nota illuminante è posta sull’art. 13 del trattato della Ue che, se da una parte garantisce il rispetto del benessere dell’animale, dall’altra impone il rispetto delle consuetudini degli Stati membri per quanto riguarda le tradizioni culturali e il patrimonio regionale. È vero che il richiamato art. 13 del Tfue individua una subalternità – o comunque una concorrenza – del dover tenere conto del benessere animale in un giudizio di bilanciamento con altri beni, ma anche in tal caso resta il vincolo posto dal legislatore Ue che richiede di effettuare una valutazione ad hoc ogni volta che si giunga a sacrificare il benessere animale ritenendo ciò consentito laddove sia possibile una conciliazione con altri diritti.

Dobbiamo, infine, elevare di più la competenza che noi veri cacciatori abbiamo sempre avuto in tutte le sedi opportune, dalla redazione degli atti amministrativi, civili e penali, alla difesa in tutte le rispettive sedi giudiziarie. L’impegno dovrà essere costante, come quello di anticipare i tempi nei rapporti con l’Ispra, mettendosi a lavorare già domani per non lasciare più spazio a pretestuose dilatazioni temporali che porterebbero come sempre un grave danno, non solo economico, a tutto il mondo venatorio”.

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Fonte: armietiro
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