Uranio impoverito: riconosciuto il rischio professionale

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Uranio impoverito: riconosciuto il rischio professionale

L’uranio impoverito in Italia ha mietuto vittime: sono oltre 400 i militari deceduti, e circa 4 mila quelli che attualmente lottano contro varie forme di tumori, scaturiti dal contatto con questa sostanza tossica, nelle missioni internazionali di pace ma anche in patria. Oggi tuttavia la lotta per il riconoscimento della pericolosità intrinseca di questa sostanza, ormai assodata a livello medico-scientifico, ha ottenuto un importante riconoscimento legale. Una sentenza di portata storica, infatti, è quella che è stata pronunciata dal Consiglio di Stato, che ha riconosciuto il rischio professionale specifico di esposizione all’uranio impoverito per i militari in missione all’estero o che accedono ai poligoni nei quali si fa uso di proiettili caricati con questo materiale. Nel caso in cui, quindi, i militari dovessero sviluppare un tumore, sarà automatico il collegamento con questo rischio professionale, ottenendo di fatto una inversione dell’onere della prova rispetto a quanto finora previsto, finora infatti erano i militari a dover dimostrare un nesso di causalità tra l’esposizione all’uranio e la malattia che li aveva colpiti.

Nella nota del Consiglio di Stato si legge: “Con le sentenze nn. 12, 13, 14 e 15 del 2025, pubblicate in data odierna, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che l’articolo 603 del codice dell’ordinamento militare, modificato con il decreto legge n. 228 del 2010, convertito nella legge n. 9 del 2011, ha disciplinato il rischio professionale specifico che caratterizza l’attività dei militari esposti ad uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti in occasione del servizio prestato all’estero o presso i poligoni di tiro sul territorio nazionale ed ha conseguentemente previsto una presunzione relativa della sussistenza del nesso di causalità con la successiva insorgenza di malattie tumorali, superabile solo qualora l’Amministrazione dia la prova di una specifica genesi extra-lavorativa della patologia”.

Il Sindacato unico dei militari ha commentato: “Questa pronuncia rappresenta una svolta epocale per la tutela della salute e della dignità dei militari italiani, troppo a lungo lasciati soli di fronte a malattie devastanti e a un sistema che negava il nesso causale tra servizio e patologia. Il principio di presunzione relativa sancito dal Consiglio di Stato ribalta finalmente l’onere della prova: sarà l’Amministrazione della Difesa a dover dimostrare l’eventuale origine extra-lavorativa della malattia. Una vittoria della verità, della giustizia e della memoria, un atto di giustizia verso i più di 400 militari deceduti e i circa 4.000 ammalati, vittime silenziose di un sistema che per anni ha ignorato le evidenze scientifiche e le testimonianze dirette. È anche un tributo alla perseveranza delle famiglie, dei legali, dei sindacati e delle associazioni che hanno lottato instancabilmente per ottenere verità e riconoscimento. La sentenza riprende quanto sancito nel 2019 dal tavolo tecnico istituito dall’allora ministra Elisabetta Trenta, il cui documento finale era incentrato su questo principio fondamentale“.

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Fonte: armietiro
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