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Uso difensivo della pistola: red-dot sì, no, forse…
Il mondo del tiro sportivo negli ultimi decenni ha, per sua stessa natura, ricercato una sempre maggior perfezione nei gesti e nei materiali, rappresentando un vero e proprio laboratorio di sperimentazione.
Molto di quanto consolidato nelle discipline sportive, soprattutto in ambito tiro action, è finito così per influenzare, se non confluire pari pari, anche in ambito di uso difensivo delle armi.
È il caso, tra i tantissimi, del modo di impugnare la pistola.
Sport contro difesa
Non tutti i gesti tecnici, però rappresentano fattori trasferibili direttamente nel contesto di un uso difensivo della pistola. Men che meno, tutto ciò che va oltre la gestualità ma si spinge fino alla gestione di uno scenario.
Nel modo di approcciare e gestire una situazione, infatti, emergono tutte le differenze esistenti tra l’uso sportivo o comunque ludico di un’arma e il suo utilizzo a scopo di difesa personale, che si tratti uso per servizio (forze dell’ordine e vigilanza privata) o di uso per difesa da parte di un comune cittadino.
Se solo si tengono presenti quelle domande che in lingua inglese iniziano per “W” (a partire dalle cinque classiche chi, cosa, dove, quando, perché) ci si rende conto che utenze diverse, con finalità diverse, condizioni di porto diverse, situazioni di potenziale minaccia diverse e così via, avranno bisogno di altrettante risposte personalizzate, tutte diverse tra loro.
La considerazione appena svolta è di tutta evidenza se si pensa al modo di approcciare uno scenario con tutto quello che consegue, che potremmo indicare come “tattica”.
Ma non solo. Le condizioni di scenario nelle quali un portatore di armi a scopo difensivo potrà trovarsi a usarle incidono notevolmente anche sulle condizioni di porto e dunque, a cascata, anche tra l’altro sulla scelta della fondina, della posizione in cui portare l’arma e così via.
Non ultimo, anche la cornice giuridica all’interno della quale può avvenire l’ipotetico impiego di un’arma determina ovvie differenze nella scelta di tecniche, tattiche, materiali.
È dunque importante che ciascuno di noi esegua una profilazione di sé stesso più precisa possibile prima di acquistare armi ed equipaggiamento in genere e scelga in quale tecnica perfezionarsi e quale tipo di scenario imparare ad affrontare e gestire.
Red-dot e uso difensivo della pistola
Negli ultimi anni, in particolare, si è diffusa la pratica di montare i red-dot sulle pistole, anche in ambito di uso difensivo, con l’intenzione di portare anche all’uso dell’arma corta i benefici sperimentati con il fucile in ambito militare. il mondo del tiro sportivo con la pistola l’ha prontamente adottata portandone le prestazioni, come si diceva, al limite. Ma è davvero una strada utile? È ovvio che un red-dot garantisce la possibilità di acquisire visivamente il bersaglio in tempi molto più rapidi rispetto alle mire tradizionali.
Ma la competenza che deve sviluppare l’utilizzatore di armi a scopo difensivo è davvero la quella di mirare più in fretta possibile? Lo stesso può dirsi per la capacità di mirare con entrambi gli occhi aperti: davvero la strada da percorrere fino in fiondo è quella di mirare sempre più in fretta?
Chi scrive non è di questo parere. Certo, qualsiasi portatore di armi deve possedere solidi fondamentali del tiro, mira compresa. Ciò non toglie, però, che in ipotesi di impiego effettivo di una pistola a scopo difensivo, non sarà la mira la competenza che contribuirà alla buona riuscita dell’azione.
Scenario
Sia consentito spendere qualche parola sulla tipologia di scenario in cui verosimilmente avviene l’impiego della pistola a uso difensivo.
Che si tratti di un privato cittadino oppure di un operatore di polizia, si tratta comunque di ipotesi di impiego a scopo puramente difensivo. Questo comporta la necessità di rispondere a una minaccia e non certo quella di andare a cercarla e stanarla.
Ne discende che, nella maggior parte dei casi, si sarà costretti a:
- Comprendere in meno tempo possibile ciò che sta accadendo, a partire dalla comprensione del fatto che è in corso un’aggressione ai nostri danni
- Valutare la portata dell’azione aggressiva dell’assalitore e ponderare una riposta proporzionata
- Mettere in atto quanto deciso.
Tutto ciò avverrà in tempi davvero ristretti e ovviamente in spazi altrettanto ristretti.
Distanza e tecnica: “spazio=tempo”
Il tempo a disposizione per reagire a un’aggressione, quindi, è strettamente legato alla distanza dall’aggressore.
E non fa eccezione il fatto che, in ipotesi, l’aggressione venga portata con armi da fuoco e che pure la nostra risposta difensiva avvenga a mezzo di armi da fuoco.
La distanza determina il tempo che abbiamo a disposizione e il tempo determina ciò che possiamo fare con qualche probabilità di riuscita e ciò che ci è precluso già in principio.
Ne è un esempio cristallino la cosiddetta “regola Tueller”, nota anche come “regola dei 21 piedi” o “regola dei 7 metri”. Partendo dalle osservazioni del sergente della polizia di Salt Lake City, Dennis Tueller nel 1983, l’omonima regola dimostra che un soggetto può correre una distanza di 21 piedi (circa 6,4 metri) in circa 1,5 secondi e quindi raggiungere e attaccare un agente di polizia prima che questo possa estrarre la propria arma e reagire.
Da allora, la distanza di 21 piedi è considerata il confine tra una distanza che consente sicuramente una reazione armata e una distanza, invece, ormai troppo ravvicinata per poter contare con certezza sull’uso difensivo della propria pistola.
Ma qual è la distanza media alla quale si svolge un conflitto a fuoco?
Stando a statistiche ormai consolidate negli anni a livello mondiale, i conflitti a fuoco avvengono mediamente a distanze davvero ravvicinate. Guarda un po’, la distanza stimata come massima si attesta proprio intorno ai 7 metri, con una fetta importante di gun fight che avviene intorno ai 4 metri e una presenza significativa di casi di utilizzo in situazioni corpo-a-corpo, stimate entro i 0,5 metri.
A una distanza così ravvicinata si aggiunga che:
- Il tempo a disposizione di chi si difende non si limita ai soli tempi di reazione, perché chi deve rispondere a un’aggressione impiegherà del tempo anche solo per comprendere quanto sta accadendo (situational awareness); solo dopo aver compreso potrà reagire
- Lo stress del momento ha un impatto enorme sulle condizioni fisiologiche di chi si trova a dover difendere la propria vita in modo improvviso
- Dovranno essere stati costruiti solidi automatismi nelle risposte, perché in quel momento a loro sono affidate tutte le possibilità di riuscita.
Tecnica appropriata
Date queste premesse, quale posto trova in scenari del genere la possibilità di estendere completamente le braccia, portare gli organi di mira all’altezza degli occhi e mirare, seppur nella maniera più rapida possibile?
Ecco che l’impiego di un red-dot di per sé non rappresenta nulla di sbagliato, anzi.
È solamente la risposta corretta a una domanda che, però, è del tutto diversa e non può riferirsi a scenari di uso difensivo della pistola!
In altre parole, se la via fosse quella di un colpo mirato, sarebbe strumento indispensabile. Quanto abbiamo detto sinora, però, ci porta a considerare che non abbiamo lo spazio e il tempo per mirare, seppur nel modo più rapido possibile.
Un’ultima considerazione tecnica. Se è vero che fino a 7 metri un potenziale aggressore ci sarà addosso prima che riusciremo a sparare, ecco che farsi trovare con le braccia estese offre la nostra arma a maggiori possibilità di essere intercettata dalla presa dell’aggressore, aprendo un pericolosissimo scenario di rischio di sottrazione della pistola, con ogni conseguenza immaginabile.
Se, dunque, la soluzione non sta nel mirare più in fretta possibile, in quale direzione va cercata?
Sicuramente la risposta va ricercata in tutto ciò che appartiene al mondo del cosiddetto “tiro istintivo” che, in quanto tale, appoggia la sua efficacia su capacità diverse da quella di collimare occhio-tacca di mira-mirino-bersaglio.
Profilo giuridico
Davvero in conclusione, vale la pena di spendere qualche parola sull’analisi di legittimità delle varie soluzioni qui ipotizzate, seppur in modo schematico.
Tutti i cittadini, tanto privati quanto appartenenti alle forze di polizia, possono trovare legittimazione dell’impiego dell’arma in ipotesi di legittima difesa (art. 52 codice penale). Il pubblico ufficiale ha inoltre a sua disposizione la scriminante dell’art. 53 (“Uso legittimo delle armi”): in entrambi i casi affinché la risposta di chi viene aggredito sia legittima occorre dimostrare la proporzionalità della propria reazione rispetto alla minaccia.
Anche sotto tale punto di vista, dunque, in quali casi saremo in grado di provare la legittimità di aver messo un soggetto tra tacca di mira e mirino?
Ovviamente esisterà un numero esiguo di casi così gravi da legittimare una risposta di questo genere. Ciò che accade quotidianamente nel mondo, però, ci porta a considerazioni diverse.
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Fonte: armietiro
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